Molte persone credono di essere sole quando gli viene diagnosticata una malattia come la Leucemia o il Linfoma, ma spesso quelle stesse persone dimenticano che sono tutto tranne che sole.
Nel 2021, due mesi dopo aver conseguito la laurea, il mio corpo ha iniziato a sviluppare, prima sulle gambe, poi sulle braccia, in petto e infine in viso, piccole macchiette rosse. Inizialmente non diedi peso a quelle che in futuro conobbi col nome di “petecchie”, perché le ritenevo ignorantemente una reazione allergica a un “qualcosa”, ma quel qualcosa non passava mai e anche le perdite eccessive di sangue dalle ferite iniziarono a sembrare strane, soprattutto agli occhi dei miei genitori. A me non importava nulla di quello strano fenomeno, anzi lo ritenevo “normale” per quanto di normale non c’era nulla, ma in realtà io avevo paura dell’ospedale, avevo paura del sangue, avevo paura dei farmaci e volevo vivere nella mia ignoranza, pensando che un giorno quelle petecchie se ne sarebbero andate da sole o con qualche rimedio naturale.
Avevo deciso di stare da sola, pur sapendo che c’era qualcuno disposto a prendersi cura di me e del mio “problema” finché un giorno non fui costretta a farmi le analisi del sangue.
Non passò nemmeno mezza giornata che il medico chiamò mia mamma e disse “Elena deve essere velocemente ricoverata, le sue piastrine sono molto basse.”
Partimmo per l’ospedale.
Un trauma dopo l’altro, tra aghi, prelievi e camici in un continuo viavai nell’ambulatorio. L’unica cosa che volevo era tornare a casa dopo una veloce infusione di piastrine che mi avevano prenotato, ma così non fu. Il pomeriggio del 24 febbraio 2022, venni ricoverata nel reparto di Ematologia dell’A.O.U. “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” a Salerno.
Di quel giorno mi pentii solamente di non aver visto mio fratello a casa per salutarlo.
Ricordo che la prima cosa a cui pensai tra tutte fu: “Tra tanti posti in cui dovevo essere ricoverata, proprio qui, nel reparto di cui ho più paura.” Per chi ha paura del sangue, a chi fa impressione il prelievo o vedere gli aghi, il reparto di Ematologia è l’ultimo posto in cui si vorrebbe essere. Ogni notte, consapevole dei prelievi che avrei dovuto fare la mattina seguente, non dormivo, mi agitavo continuamente, chiamavo mio zio ad ogni alba per distrarmi, sperando che fosse tutto un momento passeggero, che presto sarei tornata a casa.
Ma più passavano i giorni, più prendevo coscienza della situazione, grazie anche a Mena e alle altre mie compagne di stanza, che ringrazierò in eterno per il supporto e per avermi fatto capire una cosa molto importante: la fiducia.
Infatti, quando la Dr.ssa Bianca Serio mi fece chiamare per la diagnosi, le chiesi di non dirmi cosa avevo davvero, un po’ per paura di non dormire la notte, pensandoci e rimuginandoci sopra, un po’ perché sentivo che non avevo bisogno di saperlo; quello che dovevo sapere era che c’erano le cure.
Mi affidai completamente ai medici e all’equipe del reparto. Seguii le loro indicazioni e le loro prescrizioni senza fare una storia, senza versare una lacrima, tranne solo quando dovevo fare le trasfusioni, di cui avevo paura. I prelievi divennero talmente di routine che smisero di impressionarmi e iniziai persino a fare domande agli infermieri, per comprendere meglio il loro mondo e piano piano iniziai a considerarli la mia seconda grande famiglia, quella su cui potevo contare in un momento tanto particolare.
Superai brillantemente la fase della chemioterapia di 7 giorni per 24 ore, riuscendo a resistere a non stare male, mentre trasformavo la stanza dell’ospedale nella mia cameretta, piena di giochi e attività da fare durante la giornata, cosa di cui si stupì persino la psicologa del reparto.
O almeno finché non presi il Covid.
La combo Leucemia-Covid distrusse completamente il mio corpo.
Trasferita nel reparto Malattie Infettive il giorno prima del mio compleanno, tutti quelli a seguire li passavo desiderando di mollare. Ogni giorno ero sola, sconsolata, sentivo la mancanza dei miei amici infermieri del reparto di Ematologia e dei medici.
Il mio corpo iniziò a cedere, perdendo peso, forze, muscoli e voglia.
Un giorno, ormai allo stremo di tutto, in una tuta bianca irriconoscibile arrivarono le dottoresse di Ematologia, mia madre e la psicologa a darmi tutto il coraggio che avevo piano piano perso in quel lungo periodo.
Mi feci forza, e presto tornai di nuovo nel reparto di Ematologia per completare i miei cicli di chemio. Inizialmente non riconobbi quel posto, in quanto anche loro stavano passando un brutto periodo a causa del Covid. Ma ognuno di loro in quel reparto, nonostante i guai, ci spronava a non mollare, ci consolava nei momenti più tristi e festeggiava in quelli felici.
Lì capii il vero senso della parola solo, e io ero tutto, ma non sola.
È grazie a loro se adesso sono qui a raccontare la mia storia: si sono presi cura di me nonostante i miei iniziali capricci.
È grazie ai miei genitori, a mio fratello e ai miei zii, che da lontano con una telefonata mi hanno supportato, nonostante stessero passando l’inferno.
È grazie ai miei amici e alla mia migliore amica se non ho perso la testa in un vortice di follia, facendomi vedere il bello anche in un momento tanto assurdo e difficile.
È grazie a tutti loro se, dopo il mio lungo percorso durato fino a febbraio 2023, ho deciso di riprendere in mano la mia vita e darle una svolta, perché la loro solidarietà è stata un regalo inaspettato, non scontato e inimmaginabilmente efficace.
A loro dedico ogni giorno vissuto con pienezza.
A voi tutti che avete superato la malattia o che la state ancora affrontando, ricordate: non siate soli e siate resilienti.